288 senatori presenti, 287 senatori votanti. 154 favorevoli, 131 contrari, 2 astenuti.
Esattamente un anno fa, era il 27 ottobre del 2021, il Senato uccideva il DDL Zan, legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo, votando a scrutinio segreto la famigerata ‘tagliola’ voluta da Lega e Forza Italia.
Pur essendoci i numeri per superare lo scoglio della tagliola, al cospetto del voto segreto, concesso tra le polemiche dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, la legge contro l’omotransfobia venne pavidamente impallinata. A due anni dalla sua presentazione, ad un anno dalla sua approvazione a Montecitorio, dopo 12 mesi di sfiancanti polemiche e fake news, il DDL Zan cadde a pochi passi dal traguardo. Inevitabili i sospetti sui senatori di Italia Viva, che da settimane chiedevano a gran voce modifiche a quel DDL da loro già votato alla Camera dei Deputati.
Eppure il Gruppo Misto e la stessa Italia Viva, con il senatore Matteo Renzi assente perché volato in Arabia Saudita, avevano annunciato il voto contrario alla tagliola, così come Pd, LEU e Movimento 5 Stelle. Forza Italia, per bocca di Anna Maria Bernini e Licia Ronzulli, aveva invece convintamente votato a favore insieme a Lega e Fratelli d’Italia, portando Elio Vito alle dimissioni da responsabile del Dipartimento Difesa e sicurezza. Alla fine della conta furono 23 i franchi tiratori. Amaro il commento social di Alessandro Zan: “Chi per mesi, dopo l’approvazione alla Camera, ha seguito le sirene sovraniste che volevano affossare il ddl Zan è il responsabile del voto di oggi al Senato. È stato tradito un patto politico che voleva far fare al Paese un passo di civiltà. Le responsabilità sono chiare“.
Dai banchi di centrodestra si levò un indegno applauso, una standing ovation che fece il giro del mondo. Senatori della repubblica sorridenti, felici e plaudenti per aver affossato una legge di civiltà, presente in tutte le democrazie occidentali del mondo, Italia esclusa. Un anno dopo quegli applausi fanno ancora più male, perché quel governo è caduto, la legislatura è finita e le elezioni ci hanno donato una nuova maggioranza, la più a destra della storia repubblicana, la più ostentatamente omotransfobica, con una premier, un vicepremier, un presidente della camera e una ministra per le pari opportunità dichiaratamente contrari alle famiglie arcobaleno e a qualsivoglia diritto LGBTQI+.
Nel frattempo le aggressioni omotransfobiche proseguono, a cadenza quotidiana, il clima sociale è peggiorato, l’odio nei confronti dei cosiddetti ‘diversi’ si fa sempre più acceso e quasi rivendicato, a causa di una classe dirigente che non sente neanche più la necessità di indossare maschere, di fingere, con l’incubo di una regressione sul piano dei diritti tutt’altro che campata in aria.
Un anno fa il DDL Zan cadde al Senato perché chi l’aveva votato alla Camera pochi mesi prima decise improvvisamente che non andasse più bene, che fosse necessario modificarlo, cancellando quell’identità di genere che avrebbe discriminato la comunità trans, lasciata ai margini come precedentemente accaduto con i bimbi delle famiglie acobaleno, con quella stepchild adoption stralciata ad un niente dal traguardo ai tempi delle unioni civili.
Scottati da quell’abdicazione, comunità e movimento si sono compattati chiedendo una buona legge. Non una legge qualsiasi. L’aberrante dibattito ascoltato in aula, prima a Montecitorio e successivamente a Palazzo Madama, aiutò i traditori a giustificare un voltafaccia che nessuno mai dimenticherà. Perché probabilmente dovranno passare altri 5 anni, prima che in Italia si possa tornare a parlare di legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo.
5 anni in trincea con il sordo rumore di quell’infame applauso a risuonare nelle orecchie di chi quotidianamente subisce discriminazioni e violenze solo e soltanto perché LGBTQI+, donna, disabile. Chi dimentica è complice.
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