Il caso di un ex collaboratore di TP, società che gestisce un canale televisivo della tv polacca, ha portato a una nuova sentenza della Corte di Giustizia europea circa i diritti dei lavoratori LGBTQIA+ autonomi che, finora, non godevano delle stesse protezioni dei lavoratori dipendenti.
Il nome del redattore televisivo freelance non è stato reso noto, ma l’uomo ha collaborato regolarmente come professionista autonomo per il canale dal 2010 al 2017. Poi, improvvisamente il contratto di collaborazione è stato interrotto unilateralmente dall’emittente, apparentemente senza alcun motivo preciso. Dal momento che non c’erano stati comportamenti o eventi che dessero torto al redattore, l’uomo ha deciso di indagare, fino a scoprire che il motivo era il suo orientamento sessuale.
Nel dicembre 2017, infatti, l’uomo aveva postato su YouTube un video che lo ritraeva con il suo compagno, per appoggiare una campagna per la tolleranza verso le coppie formate da persone dello stesso sesso. Il gesto non è piaciuto ai piani alti dell’emittente, che ha prontamente deciso di non servirsi più del lavoro del redattore.
L’uomo è quindi ricorso alla corte distrettuale di Varsavia, accusando l’emittente di discriminazione diretta sulla base del suo orientamento sessuale. Nonostante l’uomo abbia citato in giudizio l’emittente televisiva, la corte di Varsavia si è rivolta alla Corte di Giustizia Europea per chiarimenti su come procedere, dato che nella normativa precedentemente in atto non venivano specificate le direttive per quanto riguarda i lavoratori autonomi.
I giudici della Corte di Giustizia si sono espressi con una sentenza rilasciata lo scorso 12 gennaio, in cui si attesta che i lavoratori autonomi devono godere degli stessi diritti e protezioni dei lavoratori dipendenti. Una notizia che la comunità LGBTQIA+ ha accolto con favore, soprattutto quella polacca, che si congratula per un ulteriore chiarimento sulle norme all’interno dell’Unione Europea.
Il fatto, poi, che ci sia una sentenza dell’Unione Europea, permette anche di sperare che i tribunali della Polonia – notoriamente uno dei Paesi europei in cui l’accanimento contro la comunità LGBTQIA+ è più forte – non possano più decretare liberamente quando questioni di questo tipo finiscono sui loro banchi. Qualora i tribunali nazionali non dovessero rispettare anche questa decisione circa i lavoratori autonomi, la Commissione europea potrà avviare procedure di infrazione nei loro confronti. Questa sentenza entra anche nel solco del più ampio problema di tenuta democratica della Polonia, paese che sta distorcendo la democrazia e che vorrebbe anteporre le proprie leggi a quelle dell’Unione (ve ne avevamo parlato nell’Ottobre 2021)
La situazione, per quanto riguarda i diritti LGBTQIA+ in Polonia, è ancora alquanto critica ma, quantomeno, le minacce di sanzioni da parte dell’UE hanno dimostrato di funzionare: le famigerate zone LGBT-free che avevano creato una bufera politica e avevano scatenato la reazione della Commissione europea sono state sollevate in alcune città. A livello istituzionale, tuttavia, le politiche di Duda e del governo Morawiecki continuano a remare contro qualsiasi progresso in termini di diritti civili.
«Non è un punto di svolta, ma un forte promemoria per il governo polacco che la loro mancanza di rispetto dei diritti umani delle persone LGBTI è illegale nell’UE»
Questo il commento Arpi Avetisyan, Responsabile di ILGA-Europe, che ha aggiunto: «Guardando al generale atteggiamento ostile nei confronti delle persone LGBTI da parte delle autorità polacche e allo scarso track record di attuazione delle sentenze sui diritti umani in generale, è improbabile che questa sentenza venga eseguita presto».