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Ve lo dico subito: nella tecnologia di registrazione dei dati che supporta sia le criptovalute sia gli NFT, diventati da poco il guilty pleasure dell’arte, non c’è niente di pazzesco, se non i numeri. Il blockchain è la conseguenza di questi NFT.
Cosa sono NFT e Blockchain?
NFT è l’acronimo di Non Fungible Token, unità digitale che è possibile scambiare, come i Bitcoin o l’Ethereum. L’NFT insomma è un certificato elettronico d’autenticità digitale dotato di un codice criptato e la firma dell’artista.
Questi ultimi, codice e firma, attestano unicità e proprietà di qualcosa che esiste solo sul world wide web, ma che può comunque essere rivenduto, in quanto sempre distinguibile da qualsiasi altra “riproduzione”.
La Blockchain è invece un insieme di tecnologie, in cui il filo di collegamento tra esse è configurato come una catena di stop and go, o meglio definiti blocchi, che contengono la possibilità di procedere o di fermarsi, a seconda del consenso. In questo modo ogni blocco è distribuito su vari nodi della rete e quindi una catena, per riuscire a far passare i dati, deve disporre della validazione da parte di nodi che sono sparpagliati per la rete. Quindi tutti i nodi devono concorrere alla validazione, per fare in modo che quel blockchain funzioni.
Fin qui tutto chiaro, almeno credo.
La collezione di foto di Lagerfeld su blockchain
Poi capita che il fashion world non sa stare con le mani in mano e nonostante la pandemia, si è rivolto al web, trovando in lui l’unica ancora di salvezza, di fatti si sono trasferite online le sfilate, gli eventi, gli show room, le fiere e miliardi di dollari di acquisti tanto che, giusto per citarne uno, anche l’eredità fotografica di Karl Lagerfeld raggiungerà una blockchain.
Per chi non lo sapesse, o non lo ricordasse: il Kaiser della moda fu direttore creativo di Chanel per 36 anni e di Fendi per 54, Lagerfeld è stato tra i designer più prolifici che siano mai esistiti.
Dopo la sua morte nel 2019, Eric Pfrunder, ex direttore artistico di Chanel, ha ereditato la sua raccolta di oltre 120mila fotografie e piuttosto che venderle all’asta o allestire una mostra in un museo, ha deciso di registrarle sulla blockchain Lukso. Scelta opinabile ma sicuramente remunerativa.
Così facendo le foto di Karl saranno pubblicate a intervalli prestabiliti assumendo la forma di copie digitali, edizioni limitate, copie fisiche, mostre o libri. Se vi state chiedendo cosa sia Lukso, vi dico che è una start up tedesca che opera in blockchain.
MA COSA PUO’ FARE LA BLOCKCHAIN PER LA MODA?
Oggi la moda è alle prese con due grandi problemi: combattere per migliorare l’ecosistema e difendersi dai fake, ed è qui che entra in gioco il dark side delle piattaforme di resale, che secondo alcune stime costerebbe all’industria della moda più di 450 miliardi di dollari all’anno. Mica spicci.
Gli esperti dicono che l’utilizzo della blockchain potrebbe offrire possibili soluzioni sia all’uno sia all’altro problema. Cool!
Il sistema di identificazione già in uso per gli NFT può certificare la durata di un prodotto, includere la conoscenza dei suoi produttori, la provenienza, i precedenti proprietari, persino il lotto di produzione, rendendone l’autenticità completamente verificabile.
Gli indumenti fisici, prima di capire se saranno venduti, potrebbero avere una prima vita virtuale, protetti dal blockchain. I brand ne testerebbero il gradimento prima di produrli e impostare i quantitativi, quindi evitando sprechi e inquinamento inutili. Mi pare quasi utopico, ma invece sembra che le cose potrebbero andare così.
Perché se nel mondo dell’arte è stato venduto un NFT A 63 mln di dollari e anche il primo tweet di Jack Dorsey a 2,9, per quale ragione non dovrebbero esistere collezioni di ready to wear esclusivamente digitali?
Auroboros, abiti via email
Auroboros, il cui nome fa riferimento all’antica icona del serpente che si mangia la coda, è la prima fashion house a fondere scienza e tecnologia con l’alta moda fisica, oltre al prêt-à-porter solo digitale ed è il primo marchio digitale in vendita sull’app di styling games Drest, fondata da Lucy Yeomans, ex direttore di Net-a-Porter e prima di Harper’s Bazaar UK, a fianco di brand del lusso come Prada, Burberry o Valentino.
Drest è un app di styling games, dove i giocatori hanno un’età compresa tra i 21 e i 39 anni e l’app consente di improvvisarsi stylist e fare acquisti. Auroboros ha piazzato su Drest una capsule di 14 pezzi in vendita a un prezzo compreso tra le 100 e le 450 sterline.
Invece di pagare per possedere un capo fisico, gli acquirenti di Auroboros pagano per assicurarsi versioni digitali di abiti realisticamente impossibili da realizzare, decorati con elementi del sistema linfatico o cappotti costruiti con piccole piante che vivono di vita propria, come Bjork ma 30 anni dopo.
Una volta effettuato l’acquisto, inviano immagini di se stessi a questi sarti digitali che li vestono, ma non riceveranno un bel niente, se non una un’e-mail sul loro pc. Sì, lo so, è folle, ma ognuno spende i propri soldi come vuole.
Non è finita qui, su Decentraland, una nuova versione di The Sims, puoi andare in giro (il tuo avatar va in giro, mentre tu poltrisci sul divano) con outfit da centinaia di migliaia di euro, facendo così crescere la voglia di metaverso in ognuno di noi, come accaduto a Grimes, la cantante, ex-moglie di Elon Musk, che ha venduto 10 opere NFT sulla piattaforma Nifty Gateway, con risultati pazzeschi.
Tra reale e virtuale
Il virtuale si sta affermando oltre ogni previsione causa pandemia, e ora si affianca al reale senza più complessi. Ad ogni modo, una volta spenti i computer, il bisogno di contatto fisico e reale rimane forte. Anche e soprattutto nella moda, dunque, collezioni virtuali, NFT o skin sono destinati ad affiancarsi alle collezioni vere nel vortice dei Millennials, della Gen Z e ancora di più dai nuovissimi appartenenti alla generazione Alpha: nati dopo il 2010, che sono già in grado di orientare gli acquisti dei loro genitori.
Anche se con 20 anni di ritardo welcome to the 21st century.
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