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Giusto un assaggio di normalità prima di essere gay, sì proprio così, crescere e formare la propria personalità in un contesto sociale saldamente imperniato sui crismi della mascolinità tossica ci ha fatto spesso sembrare tutto più difficile, e qualche volta anche sospirare in un anelato miraggio di apparente regolarità, immaginandoci ciò che non siamo. Uniformandoci alla massa.
Trackie Mcleod è un artista visivo di Glasgow nato e cresciuto nella classe operaia scozzese , le sue opere sono un concentrato di design e arte. Fotografia e installazioni si mescolano in salsa British pop, ripercorrendo la decade a cavallo tra i 90′ e gli anni 2000.
Un percorso autobiografico nell’intimità dell’artista, interamente basato sul simbolismo datato dell’epoca in cui Trackie era adolescente; la sua è una riflessione su tematiche legate alla consapevolezza in gioventù della propria interiorità, una escalation di conflitti sussurrati dal cuore in continua lotta con i dogmi sociali urlati da una Scozia conservatrice e chiusa.
“C’è spesso un’aspettativa culturale di inserirsi nello stereotipo maschile o nel calcio. Penso che come ‘maschio’ finché non sei a tuo agio con te stesso, allora c’è sempre un elemento di performance.”
La critica sociale di Trackie è una rilettura dei codici classici della cultura popolare, dove il sarcasmo dell’artista è addolcito dal sapore nostalgico dei ricordi, dal colore pop delle subcuture e dalla semplicità seppure greve di usi e costumi della vita quotidiana.
Com’è stata la tua infanzia a Glasgow?
La mia infanzia è stata la tipica educazione della classe operaia scozzese. Non ho dovuto desiderare troppo per niente e ho lavorato per quello che non avevo. Sì, Glasgow è grigia, umida e ha tutti gli stereotipi che hai sentito su di essa, ma è anche piena di persone fantastiche e ha fatto da sfondo colorato alla mia crescita.
Hai mai avuto un episodio in cui sei stato discriminato?
Penso che nell’ovest della Scozia, se non hai subito alcuna discriminazione come persona queer, allora puoi ritenerti fortunato. Personalmente, all’inizio ho dovuto sviluppare una pelle spessa e ho dovuto affrontare la mia giusta dose di pregiudizi da adolescente. Tuttavia, da adulto, queste esperienze mi hanno reso più resiliente e orgoglioso di essere queer. Questa è una delle mie citazioni preferite che riassume meglio quello che penso: “Le persone queer non crescono secondo il loro vero essere, cresciamo interpretando una versione di noi stessi che sacrifica l’autenticità per ridurre al minimo l’umiliazione e il pregiudizio. L’enorme compito della nostra vita adulta è quello di individuare quali parti di noi stessi sono veramente reali e quali parti abbiamo creato per proteggerci.”
Cosa pensi della mascolinità tossica?
Questa è una grande domanda e non sono sicuro di avere una grande risposta. Ho vissuto a lungo in quel mondo, credo che sia una parte radicata della nostra cultura che va di pari passo con il patriarcato. Fino a quando gli uomini non inizieranno a notare questo comportamento in se stessi e a risolverlo, esso continuerà a essere intrinsecamente tramandato e a far parte della cultura generale.
Quanto la mascolinità tossica ha influenzato la tua infanzia?
Per quanto riguarda la sua influenza sulla mia infanzia, probabilmente mi ha limitato e mi ha spinto a chiudermi maggiormente. Ritengo che abbia anche reso l’esperienza del coming out molto più difficile poiché non avevo gli strumenti per capire le emozioni che avevo represso, e quello che avevo maturato e capito su me stesso è uscito con rabbia.
Pensi sia possibile imparare qualcosa dalla mascolinità classica?
La mascolinità può essere di tutte le forme e dimensioni. La mascolinità può significare qualcosa di diverso per tutti. Il genere è un costrutto sociale.
Stereotipi iper-mascolini: a volte possono affascinarci. Come esplori gli effetti dannosi dell’ iper-mascolinità attraverso la tua arte?
Il fascino per me deriva dalla consapevolezza di voler essere quel ragazzo iper-maschile, di essere ‘uno dei ragazzi’, c’era un’aspettativa culturale di inserirsi nello stereotipo maschile o nel calcio. Penso che come ‘maschio’ finché non sei a tuo agio con chi sei, allora c’è sempre un elemento di performance. Cerchi di adattarti a questo ideale di ciò che deve essere un ‘maschio’. Solo ora sono abbastanza a mio agio da guardare indietro a quelle esperienze di crescita e riderci sopra, ed è questo l’umorismo che uso nel mio lavoro. Faccio luce sulle mie esperienze usando il sarcasmo, spero che le renda più facili da scoprire ed affrontare e non troppo pesanti da affrontare.
Credi che le nuove generazioni siano più consapevoli e pronte a riconoscere la propria natura?
Sicuramente, penso che le giovani generazioni siano più disposte ad avere conversazioni scomode, il che è importante. Grazie a internet ci sono più risorse, le persone sono più consapevoli dello stigma, della tossicità, dei comportamenti interiorizzati ecc. Da quando ero più giovane mi sembra che siano stati fatti dei progressi, anche se lenti. Avanti, abbasso il patriarcato!
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