“Dobbiamo resistere e lottare per i nostri figli”: Giulia e Francesca e la loro famiglia arcobaleno

"La società sembra pronta a garantire uguali diritti a tutti e spinge perché ogni famiglia sia tutelata"

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Mentre l’Italia continua la persecuzione delle famiglie omogenitoriali e prova a rendere la gestazione per altri reato universale, noi di Gay.it continuiamo il nostro racconto di storie d’amore quotidiano.

Vi abbiamo raccontato la storia di Sofia, Michela e della piccola Mia. Quella di Michi, Viola e Giulia. Giovanni e Giacomo che hanno fatto la GPA in Gran Bretagna. La famiglia di Pietro con le sue due mamme Livia e Ale. La storia di Farhad e Francesco con i due piccoli Michelangelo e Leonardo avuti da GPA in USA. Oggi vi raccontiamo un’altra storia di amore, così ordinario da diventare straordinario, visti i tempi di feroce repressione verso bambini e genitori.

Una storia come tante in Italia, che parla di coraggio, desiderio e resilienza: quella di due donne che hanno scelto di condividere la loro vita insieme. Attraverso i loro occhi, vediamo una storia d’amore lunga tredici anni.

Poco dopo il loro incontro, Giulia e Francesca hanno da subito cominciato a immaginare una famiglia insieme. Il percorso che hanno scelto, la Procreazione Medicalmente Assistita, ha spalancato le porte verso un mondo di possibilità.

In questa intervista, @lemammedielia condividono con noi la loro storia, le loro speranze e paure per il clima intollerante venutosi a creare nel nostro paese e un appello a tutte le altre famiglie arcobaleno: mai arrendersi.

Come è iniziata la vostra storia d’amore?

Siamo insieme da 13 anni e la nostra storia è molto semplice. Ci siamo conosciute grazie a un’amica comune che ci ha presentate durante una festa a casa sua, e da lì è scattata la scintilla. Ci siamo subito trovate e, nonostante qualche incomprensione iniziale, non ci siamo più separate.

Abbiamo scherzato sulle stereotipie delle coppie lesbiche e abbiamo seguito pressoché tutti quei cliché. Dopo pochi mesi, abbiamo deciso di andare a convivere e abbiamo anche adottato una gattina. Da quel momento sono passati 13 anni.

Quando avete capito di desiderare la maternità? Come avete affrontato insieme il discorso?

Abbiamo avuto due percorsi distinti riguardo al desiderio di diventare madri. Personalmente, ho sempre sognato di avere una famiglia e ho parlato apertamente con la mia compagna, condividendo le mie fantasie sul nostro futuro insieme.

Immaginavo dove avremmo potuto vivere, quanti figli avremmo voluto e i nomi che mi piacevano. Insomma, sognavo a occhi aperti riguardo alla nostra famiglia nel prossimo futuro. D’altro canto, era importante per me rispettare i tempi della nostra relazione e non affrettare le cose.

Abbiamo aspettato ben 9 anni prima di iniziare a informarci seriamente su come realizzare il nostro desiderio di genitorialità. Un evento casuale ha accelerato il processo: abbiamo partecipato a una conferenza sulla procreazione medicalmente assistita (PMA) a Bologna, dove abbiamo deciso di contattare immediatamente la clinica che sembrava adatta a noi.

Abbiamo fissato un colloquio e da lì abbiamo iniziato a essere seguite regolarmente dalla clinica, iniziando il percorso che ci ha portato alla Spagna, il paese che abbiamo scelto per realizzare il nostro sogno di diventare madri.

Pensando alla vostra esperienza nel percorso di PMA, la consigliereste ad altre mamme?

Questa è una domanda a cui è difficile rispondere. È come chiedere a una persona eterosessuale se consiglierebbe di provare ad avere figli. La nostra risposta è assolutamente sì, indipendentemente dall’orientamento sessuale o dallo stato civile.

Se il desiderio di diventare genitori è forte, pensiamo che sia giusto seguirlo e cercare di realizzarlo. Purtroppo, il nostro paese non semplifica affatto le cose, e con il governo attuale ci troviamo in una situazione simile a quella dell’Ungheria di Orban per quanto riguarda i diritti civili.

Siamo costrette a recarci all’estero per realizzare ciò che dovrebbe essere un diritto di tutti.

Quindi, il percorso non è affatto semplice e comporta molti aspetti, sia economici che emotivi. Tuttavia, se si ha l’opportunità di farlo e si sente fortemente il desiderio di diventare genitori, lo consigliamo assolutamente.

 

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Come è stata la procedura di registrazione del vostro bambino nella vostra città? Come avete affrontato le implicazioni dovute alla discriminazione del governo nei confronti delle famiglie arcobaleno?

La procedura di registrazione del nostro bambino nella nostra città è stata complessa e problematica. Purtroppo, all’atto di nascita è stato trascritto solo il nome della madre che lo ha partorito, privandolo fin da subito di una delle sue due figure genitoriali.

Questo è assolutamente inaccettabile in ogni aspetto. Durante il percorso di PMA, tutti i documenti sono stati firmati da entrambe e attestano che si tratta di un progetto di genitorialità condiviso, non solo della madre biologica.

È stato solo nel gennaio del 2023 che nella nostra città è stato registrato il primo atto di nascita con due mamme. Prima di allora, il precedente sindaco aveva rifiutato di creare tali atti per le famiglie arcobaleno presenti nel territorio.

Questa registrazione sembrava aprirci a un futuro migliore per tutte le famiglie arcobaleno e coloro che speravano in questo cambiamento. Purtroppo, solo due mesi dopo, la procura ha imposto un blocco, impedendoci di richiedere la modifica dell’atto di nascita del nostro primo figlio, nato nel 2020.

Non nutriamo molte speranze che la situazione cambi con l’arrivo del nostro secondo figlio, previsto per fine luglio. Con questo governo, diventa impossibile. Dovremo probabilmente ricorrere all’adozione in casi particolari, chiamata stepchild adoption.

Qui la nostra Guida alla StepChild Adoption in collaborazione con Rete Lenford

Tuttavia, questa non rappresenta adeguatamente la nostra famiglia. Siamo grati che esista, ma non è affatto il ritratto della nostra realtà familiare. Speriamo che vengano creati atti di nascita che riflettano le nostre famiglie.

Purtroppo, ogni tribunale ha criteri diversi, e molti non consigliano di iniziare le pratiche di stepchild adoption subito dopo la nascita. Nel caso peggiore, se la mia compagna dovesse morire, non avrei la custodia legale di mio figlio perché, agli occhi dello Stato, non sono considerata nessuno, solo un’estranea.

Ci sono implicazioni nella vita di tutti i giorni che richiedono una delega scritta da parte di mia compagna per molte situazioni. Questa esperienza di discriminazione è qualcosa che viviamo quotidianamente perché le istituzioni fanno parte della nostra vita quotidiana.

 

 

Qual è stata la percezione di accoglienza che avete ricevuto dalla società?

Fino ad ora, siamo sempre state accolte dalla società con normalità ed eguaglianza. Non abbiamo avuto problemi e ci siamo confrontate con diverse realtà, come medici e ostetriche durante la gravidanza e durante il parto.

Siamo state trattate come una famiglia come tutte le altre. Anche quando abbiamo iscritto nostro figlio all’asilo nido, il personale ci ha sempre considerate una famiglia come tutte le altre. La società sembra pronta a garantire uguali diritti a tutti e spinge perché ogni famiglia sia tutelata.

Abbiamo notato l’interesse e il desiderio di informarsi sulle sfide che le famiglie omogenitoriali, come la nostra, affrontano quotidianamente. Tuttavia, ci rendiamo conto che c’è una mancanza di informazioni chiare e precise riguardo a ciò che viviamo.

Speriamo che anche le istituzioni compiano dei progressi, ma con l’attuale governo, non ci aspettiamo grandi cambiamenti. Dobbiamo resistere e lottare per i nostri diritti e quelli dei nostri figli.

(qui: Famiglie Arcobaleno > gli aggiornamenti e gli approfondimenti di Gay.it)

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