La vita delle persone trans* med (medicalizzate) che hanno a che fare con il virus HIV può essere costellata di complicazioni, principalmente legate alla cultura ottusa dello stigma che investe sia il tema dell’HIV, sia quello dell’affermazione di genere.
Negli ultimi tempi buone notizie si sono registrate su ambo i fronti: per esempio l’istituzione del Registro di genere, approvato sia a Milano sia a Lecce, è l’inizio di una battaglia di visibilità e piena cittadinanza. Che un giorno – si spera – sovvertirà il clima di isolamento a cui sono sottoposte le persone trans* dal punto di vista giuridico, e dunque civile e sociale.
Ma anche sullo stigma dell’HIV sono percepibili progressi. Si pensi alla forza che ebbe il famoso articolo “Ho l’HIV e per proteggermi vi racconterò tutto” di Jonathan Bazzi proprio su Gay.it e il conseguente successo del suo romanzo Febbre giunto in finale al Premio Strega. O si guardi la visibilità che finalmente alcune persone famose hiv+ hanno oggi (AGGIUNGERE LINK). Ma il merito è anche, e forse soprattutto, della scienza. Che grazie alla continua evoluzione dei farmaci, ha abbassato l’impatto del virus sull’organismo delle persone sieropositive, sviluppando nuove soluzioni sempre più vicine a una condotta di vita pressoché normale anche per le persone hiv+.
Ma per le persone trans* medicalizzate, oltre alle questione dei due stigma, esiste il tema della sovrapposizione farmacologica di terapie. Quelle per l’HIV e quelle per la transizione. Un tema che non può essere ignorato. Anche e soprattutto perché, come abbiamo già scritto per i maschi gay, quella transgender è una condizione peculiare. E allora, qualcuno sta forse pensando a come affrontare questa doppia esigenza di una persona transgender che sia sieropositiva?
Ne abbiamo parlato con Miki Formisano, presidente dell’associazione CEST, centro salute trans e gender variant, associazione che si occupa del percorso di affermazione di genere delle persone transgender. Miki è anche presidente di T Genus, associazione di volontariato per la tutela dei diritti delle persone transessuali e transgender. Una delle battaglie che da sempre Miki affronta con il suo impegno civile è proprio quello di favorire l’emergere delle esigenze delle persone T nella narrazione pubblica, sia essa in ambito politico (pensiamo, di nuovo, all’importanza del Registro di genere approvato a Lecce), sia in ambito sociale, sia in ambito sanitario. Per decostruire gli stereotipi e immaginare non solo inclusione nel senso più teorico e nobile, ma anche per giungere a soluzioni pratiche che davvero incidano sul miglioramento della vita per lə nostrə concittadinə transgender.
Miki, qual è la situazione generale delle persone trans* medicalizzate rispetto al tema dell’HIV?
Non è un quadro felice. Le persone trans* med – e non solo med – spesso sono invisibili. A causa dello stigma e delle discriminazioni, non accedono a percorsi di screening e di prevenzione dedicati alla salute.
Questo è vero sia in generale, sia in particolare sulla questione HIV?
Sì, lo stigma per la propria identità di genere si sovrappone allo stigma dell’HIV.
Questo mette le persone transgender ancora più a rischio?
Sì, mentre invece sarebbe importante salvaguardare la propria salute, sempre! Sia quando si è in un percorso di affermazione di genere, sia quando questo è terminato, sia se si decide di non farlo, e anche se si decide di farlo parzialmente.
Quali sono i momenti più delicati?
Da subito la questione è complessa. Spesso alcuni tipi di visite mediche mettono a rischio la privacy delle persone trans*, già nel momento della prenotazione, e procurano un notevole imbarazzo, dovuto all’incongruenza tra il genere sentito ed espresso, e ai documenti che riportano il sesso assegnato alla nascita, quando ancora non è avvenuto il cambio anagrafico. Ma anche nella fase di screening, l’imbarazzo è notevole.
Perché?
Pensa a quando un uomo o una donna trans che hanno cambiato i dati anagrafici, richiedono una visita ginecologica o una visita alla prostata, per citare un paio di esempi. Tutto ciò allontana la comunità trans dal prendersi cura della propria salute. Lo stigma è ancora diffuso. La paura del doppio stigma rende ancora più fragili le persone trans* hiv+ (sieropositive), che affrontano sia il pregiudizio dell’essere trans*, sia quello di essere persone sieropositive in una società che si porta in eredità un retaggio culturale di stigma ancora troppo radicato.
Un tema che abbiamo iniziato ad affrontare su Gay.it è la specificità delle cure, dei servizi e dell’assistenza sanitari calibrati sulle minoranze. In particolare abbiamo dato notizia di uno studio sulle esigenze per salute mentale e sessuale dei maschi gay. Ma anche per le persone trans* medicalizzate, e nello specifico in relazione all’HIV, sarebbe necessario sviluppare procedure, servizi e prodotti pensati e sviluppati per le peculiarità T: cosa si sta facendo al proposito?
Qualcosa si muove. La onlus NPS Italia, insieme al centro studi Fondazione The Bridge, sta portando avanti un progetto di analisi della popolazione T, per arrivare a una raccolta di dati e fonti di informazioni sui farmaci long-acting (si parla dei nuovi farmaci per l’HIV a lunga durata d’azione ndr) sulla popolazione trans*. E lasciami dire che questo importante studio è sostenuto da ViiV Healthcare.
È una buona notizia. Nel concreto questa raccolta dati quali obiettivi ha?
Vorrei sottolineare che questo è un progetto concreto di lotta alle diseguaglianze sanitarie. Come ti ho spiegato, le persone trans* oggi non godono di parità di trattamento sanitario. E proprio di recente l’OMS ha posto tra gli obiettivi principali quello di tutelare la salute delle persone trans* e di altre minoranze di genere.
Giusto. Quindi nel concreto?
La terapia ormonale si sovrappone alla terapia antiretrovirale contro il virus HIV: questo è un punto di attenzione. E su questo si valuta come le persone trans* med hiv+ possano essere un target opportuno per l’utilizzo dei farmaci long-acting (a lunga durata d’azione ndr). Con questo studio noi possiamo analizzare finalmente le aspettative e le possibili criticità dellə pazienti T.
E il personale sanitario?
Grazie a questo studio, si avranno informazioni utili per gli operatori del settore, che avranno evidenza, tramite i dati e le analisi svolte, di quali siano le attenzioni dovute alla salute della persona trans*.
C’è già evidenza di qualche risultato che puoi anticiparci?
I dati sono ancora parziali, il questionario è del resto ancora disponibile online. Ma dalle analisi effettuate possiamo anticipare senz’altro che la terapia long-acting (farmaci a lunga durata d’azione ndr) comporti un grande vantaggio legato ad una maggiore aderenza terapeutica. L’innovazione di questi farmaci costituisce una risposta particolarmente importante per le persone che hanno una specifica peculiarità (tecnicamente: alti problemi di compliance ndr), quali ad esempio proprio le persone trans*.
Ma le persone lo sanno?
Non ancora. Lo studio evidenza infatti come ci sia ancora una scarsa conoscenza dei farmaci long-acting, tuttavia vi è una grande interesse e un ampio consenso a un potenziale cambiamento del regime terapeutico.
Stiamo parlando dei nuovi farmaci a lunga durata d’azione, cosa sono?
Per farla breve: sono nuovi farmaci anti-hiv che non devi prendere più tutti i giorni. Hanno una somministrazione molto più dilatata, anche una sola somministrazione ogni due mesi. Ma l’argomento è delicato e va trattato sotto supervisione medica.
Immagine di copertina: Gay.it editing composto da foto di Pawel Czerwinski e Sebastian Dumitru
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