Un nuovo episodio di violenza omofoba scuote la comunità di Andria, in Puglia, coinvolgendo, come troppo spesso accade, individui molto giovani. Un 18enne, che ha scelto di mantenere l’anonimato, ha presentato una denuncia ufficiale dopo essere stato vittima di due separate aggressioni nel corso del weekend tra sabato 21 e domenica 22 ottobre.
La prima aggressione è avvenuta intorno alla mezzanotte di sabato, quando il giovane si trovava in compagnia di alcune amiche nella centrale Piazza Catuma. Senza alcun motivo apparente, un gruppo di ragazzi ha iniziato a deridere e umiliare il ragazzo. Quando la vittima ha cercato di rispondere, è stata subito colpita con calci e pugni all’addome. Nonostante una pronta chiamata alle forze dell’ordine, gli aggressori sono riusciti a dileguarsi prima dell’arrivo dei carabinieri.
Il dramma sembrava essersi concluso, ma, sfortunatamente, la domenica ha portato una seconda aggressione. “Erano in due, più piccoli di me: uno di loro lo conosco perché da tempo mi prende in giro per il mio orientamento sessuale” ha raccontato la vittima.
In seguito a questi gravi episodi, il ragazzo ha formalizzato la sua denuncia lunedì presso la questura e ha lanciato un appello a chiunque si trovi in circostanze simili: “a chiunque subisca aggressioni verbali o fisiche di denunciare, di avere coraggio altrimenti nulla mai cambierà in questa città“.
Nonostante la resilienza delle vittime e l’incessante impegno delle reti di supporto, l’Italia diventa un luogo sempre meno sicuro per la comunità LGBTQIA+.
L‘estate appena trascorsa è stata un doloroso promemoria di questa realtà, con una serie di episodi che echeggiano la frequente e pervasiva atmosfera di violenza, abuso e discriminazione. Ciò che è particolarmente allarmante è che tali episodi emergono spesso all’interno delle stesse mura domestiche, luoghi dove chiunque dovrebbe sentirsi al sicuro.
Situazioni traumatiche come le violenze fisiche e le minacce di morte perpetrate da un padre cinquantasettenne al proprio figlio gay, o una madre che aggredisce il figlio diciassettenne con un mattarello perché gay, delineano un panorama desolante. Aggiungiamoci le atrocità commesse da un padre omofobo verso il proprio figlio di soli quattordici anni a Torino, che abbiamo raccontato solo ieri.
Una violenza che si impara da bambini: a Milano, una coppia gay è stata brutalmente pestata alla presenza dei figli dei loro aggressori, bambini testimoni diretti dell’odio e della violenza che apprenderanno dai loro stessi genitori.
Contrariamente alle affermazioni del governo, che sostiene che in Italia “non esista un problema di omobitransfobia”, i crimini d’odio non accennano a diminuire. Dall’abuso verbale, come gli insulti rivolti a una coppia gay semplicemente per aver cancellato una prenotazione, all’irruzione di un gruppetto di adolescenti omofobi a CasArcobaleno a Torino, fino alle violenze fisiche come l’aggressione a una trentenne lesbica in Molise e a una donna trans in una stazione a Pavia.
Si tratta di un riflesso cristallino dell’omobitransofobia istituzionale di un governo che ha indetto una sorta di crociata contro la comunità LGBTQIA+, estendendo la discriminazione dalle famiglie arcobaleno alla comunità trans e non binaria – e non solo.
Un clima di ostilità alimentato e legittimato dalla popolarità di figure pubbliche come il generale Vannacci, e dall’agenda subdola della Rai orientata a destra, che si insinua anche in produzioni televisive apparentemente innocue come “Un Posto al Sole” (l’episodio sulla cancel culture è ormai diventato una vera e propria trama, che continua a snocciolarsi di puntata in puntata).
Ci troviamo di fronte a un attacco indiscriminato e multiforme contro una comunità LGBTQIA+ che ha sempre cercato di vivere in pace, chiedendo solamente il diritto di esistere e di avere un proprio spazio nel tessuto sociale del “Bel Paese”.
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