Diciamolo: le riflessioni sul mondo post-Covid, sulle cose che non torneranno e che non saranno mai più le stesse ci hanno stancato.
Un po’ perchè spesso sono esercizi fini a sè stessi, palcoscenico per il pensatore (o pseudo-tale) di turno, spesso smentiti dai fatti dopo qualche settimana, un po’ perchè dopo oltre 4 mesi di monotematicità non ne possiamo più.
Ed anche perchè, senza negare la gravità di una crisi paragonabile ad una guerra mondiale, nè le sofferenze di milioni di persone e di centinaia di migliaia di vittime, restiamo ottimisti sul fatto che la natura umana mai potrà rinunciare ad un concerto affollato, ad un abbraccio, una stretta di mano, che sono l’essenza stessa del vivere sociale.
Perchè il digitale, che se usato bene può rendere il mondo più sostenibile e si è rivelato prezioso in questo frangente, non può sostituire la vita, e perciò prima o poi si tornerà a vivere come si viveva prima, nei limiti del Panta Rei, per cui ovviamente non ci si bagnerà nello stesso fiume. In ogni caso.
Ma dal punto di vista LGBTQ una piccola riflessione forse, al termine di questo Pride Month, forse si può fare.
L’impossibilità fisica del Pride, di quell’esperienza così festosa, totalizzante, liberatoria ed anche ludica, poteva indebolire fortemente l’idea stessa di comunità LGBTQ. E nelle prime settimane, in cui la rinuncia ai Pride si concretizzava, c’è da dire che lo scoramento ha preso anche molti di noi.
Si tratta di liturgia che cementa e che costituisce l’azimut, il terminale, dell’articolato discorso intimo e pubblico sulla diversità. Senza quel momento, senza i locali ed eventi, con la distanza fisica del lockdown, solo affievolita dalle varie Fasi 1, 2, 3, la paura di disgregamento era forte e reale.
Tolto quello il rischio era che rimanesse poco. E parliamo sia in astratto che in concreto, di riscontro nell’opinione pubblica, di partecipazione di organizzazioni e aziende, oltre che di cittadin*.
Ed invece l’impressione è che, pur nelle difficoltà, o forse anche grazie a quelle, ci sia stato un rafforzamento della comunità LGBTQ, una presa di coscienza più matura e cosciente che oltre al Pride c’è molto di più.
E che tolte le parate, i concerti, le feste, – che ci auguriamo fortissimamente tornino dal 2021 o magari addirittura dalla fine del 2020 se possibile – la partecipazione sia stata ugualmente fortissima. A livello morale, spiriturale, sui media e sui social, che in fondo sono lo specchio dei tempi.
Più pensata, spesso mediata dal digitale o da una mascherina, ma anche più fantasiosa, nei limiti dati dalla situazione contingente. Abbiamo visto progetti artistici, poetici, flash mob, bandiere. Il Global Pride di sabato scorso, con 26 ore di diretta streaming, ha coinvolto il mondo intero. La pride week milanese, interamente andata in scena sul web, è stata un tripudio di eventi, mentre a Napoli si è visto un flashmob ordinato e in totale sicurezza a sostegno della legge contro l’omotransfobia. Negli Usa il dibattito sui diritti delle persone trangender è tornato d’attualità grazie ai soliti attacchi di Donald Trump, amplificati anche nel Regno Unito dai tweet di J. K. Rowling, mentre lo Stonewall INN di New York, a rischio chiusura causa crisi da pandemia, è riuscito a raccogliere oltre 250.000 dollari in pochi giorni, grazie ad una comunità LGBT che si è stretta attorno al suo luogo simbolo, da cui tutto ebbe inizio 51 anni or sono. Il senso di ‘famiglia’, che da sempre dovrebbe contraddistinguerci, è tornato a pulsare proprio nel momento in cui tanti vorrebbero etichettarci come qualcosa di ‘diverso’, non contemplabile all’interno di una società binaria ed eteronormativa, millantando la nostra ‘inesistenza’, se non addirittura la nostra pericolosità sociale ed educativa.
Anche l’opinione pubblica ha dato importanti segnali di presenza, con svariati membri del governo (comunque la si pensi) e persino dell’opposizione che hanno lanciati messaggi di inclusione, onestamente insperabili fino a qualche anno fa. Le aziende sono tornate a metterci la faccia, anche senza Pride ‘fisici’ da poter sfruttare in ambito puramente promozionale, prendendo posizione in favore dell’inclusione, con municipi tinti di arcobaleno, giochi di luci, stabilimenti balneari e strade cittadine pittate di rainbow.
In queste stesse ore, purtroppo, non cessano i terribile episodi di omofobia che gridano giustizia da decenni, come quanto visto a Pescara pochi giorni fa.
Ma l’approdo ormai prossimo della legge contro l’Omobitransfobia in Parlamento, incoraggiata dalle più alte cariche dello Stato, è un traguardo importantissimo che potrebbe coronare un anno terribile con una buona, ottima notizia. Da festeggiare nei prossimi chiassosissimi, orgogliosamente indecenti, coloratissimi Pride. Checchè ne dica Alessandro Di Battista.
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