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Cos’è stata finora la fluidità a Sanremo

Non è successo dall’oggi al domani, ma con le figure più inaspettate, che siano look plateali o piccole grandi sfumature nascoste.

4 min. di lettura
Cos'è la fluidità a Sanremo

Negli ultimi anni, anche a Sanremo è spuntata la parola fluidità.

Tra politici di destra in cardiopalma e chi è ancora troppo confuso sull’accezione del termine, sembra che all’Ariston si inizi a prestare attenzione a come lǝ artistǝ giocano spesso e volentieri con l’espressione di genere, ribaltando e fraintendendo i binari – che sia un abile mossa di queerbaiting o una genuina forma d’arte.

Cos'è la fluidità a Sanremo
Plastic Bertrand

La “fluidità” per come è intesa a Sanremo non solleva una vera e propria discussione sull’identità di genere (tre volte su quattro gli artisti sono sia cis sia etero) ma accoglie la possibilità di presentarsi in più forme, trovando qualche spazio in più per la diversità.

Non è successo dall’oggi al domani, ma con le figure più inaspettate, che siano look plateali o piccole grandi sfumature nascoste.

Già nel 1970, una certa Rita Pavone (molto prima degli scivoloni fascistoidi degli ultimi anni) sulle note di “Ahi ahi ragazzo” spuntava con uno smoking e dei capelli cortissimi, richiamando – consapevolmente o meno – l’androginia di un piccolo tomboy, in totale opposizione ad una Gigliola Cinguetti o Marcella Bella.

Ma è nel 1978 che il palco si infuoca: con il suo capolavoro “Un’emozione da poco”, Anna Oxa si presenta in completo da uomo, camicia, cravatta, capelli corti e leccati, trucco pesante.

É un drag king che sgambetta, salta da una parte all’altra, e inebria la platea.

Non ha nemmeno problemi a farsi chiamare al maschile: “Io non sono neanche un punk” risponde alle interviste. Quando chiedono “Come ti chiami?” risponde solo “Oxa”.

Nel 1985 ritorna all’Ariston cantando “A lei” e sembra un alieno: coperta da una lunga mantella nera (in un’altra serata un’attillatissima tutina rossa) ne rimane solo il volto diafano, la chioma squadrata e platinata, e lo sguardo di un avatar che buca lo schermo.

Nel 1982 abbiamo il caso più unico che raro di una canzone francese in gara con Plastic Brestrand:  “Ping Pong” non fa proprio impazzire la giuria, ma il palco abbonda nel rosa, racchette, visiere bianche, mentre il cantante sculetta senza remore, balla il twist, muove il polso.

Poi c’è Alberto Camerini che nel 1984 si esibisce con “La bottega del caffè” come un piccolo grillo cantante.
Caschetto biondo, eyeliner, gilet multicolor.
Camerini non ha nulla dello stereotipo maschile: è una creatura ambigua, quasi asessuata e al contempo con un’energia iper-sensibile.
Il suo è un arlecchino elettronico e incompreso — finirà al 16esimo posto della giuria, e dopodiché si allontanerà sempre di più dai riflettori —una maschera del perdente, che in totale opposizione ai sex simbol dell’epoca preferisce citare Goldoni sul palco dell’Ariston.

Cos'è la fluidità a Sanremo

Se al Sanremo del 1986 nella sezione big, mentre canta “Verso il DuemilaFlavia Fortunato sembra BoyGeorge, tra capelli cotonati e treccine afro che penzolano, con l’arrivo degli anni 2000 la fluidità trova  espressione anche solo esclusivamente nelle corde vocali: nel 2003 la voce di John De Leo, dei Quintorigo, mentre canta l’assurda “Bentivoglio Angelina” è una montagna russa di falsetti striduli e bassi baritonali, oscillando da un personaggio all’altro che prima è femmina, poi maschio, bambino, bambina, fino ad assumere forme e suoni imprevedibili esclusivamente attraverso l’estensione vocale e l’andamento distonico della melodia.Tra il 2020 e il 2021, l’Ariston è di nuovo una festa: Achille Lauro porta sul palco un susseguirsi di travestimenti che vanno dalla regina Elisabetta I Tudor, a tutine di paillettes scintillanti, allo Ziggy Stardust di David Bowie, la Divina Marchesa Luisa Casati Stampa, ma anche un omaggio a Mina riproducendo il servizio fotografico di Mario Belletti negli anni ottanta.

Le reazioni sono delle più disparate: stupisce, infastidisce, annoia.
Ma Lauro è solo uno spicchio della torta.

Alla settantunesima edizione del Festival, l’adorabile Michele Bravi duetta in compagnia di Arisa sulla cover di “Quando” di Pino Daniele. Indossa un completo nero di pizzo e si muove con indecifrabile grazia, con un timbro vocale incatalogabile. È anche uno dei pochi concorrenti ad aver fatto liberamente coming out.

C’è anche Madame, diciannove anni e bisessuale, che con la sua “Voce” canta una sessualità senza barriere, sia sul piano sessuale sia dell’identità di genere.

Lo stesso anno arriva La Rappresentante di Lista, duo spudoratamente queer, in un’esplosione di rosa shocking, lucidalabbra, e bouquet di fiori per chiunque.

Ma a scomodare il podio saranno i Maneskin, animali da palcoscenico avvolti tra corsetti pirateschi, balze ottocentesche, tutine in piumaggio couture e tulle decorate con cristalli.

Cos'è la fluidità a Sanremo
@maneskinofficial

 

Con l’arrivo della splendida Drusilla Foer e del cantautore Sangiovanni (definita un’icona “senza genere”), anche quest’anno il palco dell’Ariston non può sottrarsi al cambio generazionale, nella speranza di spostare questa conversazione sulla fluidità ad un livello successivo — magari includendo prima o poi sempre più artistǝ dichiaratamente LGBTQIA+.

Ma questo è solo l’inizio di un viaggio iniziato molto prima.

 

 

 

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