Finocchio
“Finocchio” è un dispregiativo, un insulto che indica l’uomo omosessuale.
Si tratta di una voce toscana entrata in italiano con la letteratura neorealistica. Al femminile ‘finocchia’ si ricorre più in termini scherzosi all’interno della comunità LGBTQIA+.
Forse nessun termine come questo (ad eccezione di FROClO), ha suscitato ipotesi così contrastanti sull’etimologia. Per fortuna è possibile stabilire alcuni punti fermi, che permettono di arrivare ad una spiegazione soddisfacente. Innanzitutto: l’uso di FINOCCHIO nel senso di “omosessuale” è recente. Prima del 1863, anno in cui apparve nel dizionario del Fanfani, non è rintracciabile in alcun documento. L’unica attestazione precedente, riportata dal Battaglia, appare dubbia, perché si trova in una composizione poetica in cui l’autore, Meo de’ Tolomei, vuole mettere in risalto la stupidità di suo fratello Min Zeppa. Quando Mino entra in chiesa, secondo Meo, è tanto maldestro nel fare il segno della croce da cacciarsi le dita nell’occhio, o così babbeo da salutare Dio dicendo: “Dio vi dia il buon dì, signor Dio”. La conclusione del poeta è quindi “che ben ve sta uma’ dicer finocchio” (Marti: 260), cioè: “ormai ti sta bene se ti chiamano finocchio”. In questo contesto sembra che a FINOCCHIO si adatti meglio il significato di “babbeo”, “stupido”, molte volte attestato in altri scrittori antichi. Del resto nessun vocabolario pubblicato prima del Fanfani registra tale uso della parola, mentre gli antichi scrittori preferiscono usare altri termini derogatori (soprattutto BUGGERONE e BARDASSA) a scapito di questo.
Anche negli antichi processi per ingiurie FINOCCHIO è assente. Sulla base di queste considerazioni concluderemo quindi che FINOCCHIO nel senso di “omosessuale” è termine recente, di origine toscana, diffusosi dopo l’Unità nel resto d’Italia (ma più al Nord che al Sud, dove FROCIO e RECCHIONE gli hanno fatto concorrenza), soprattutto grazie a scrittori “realisti” toscani (per esempio Prezzolini).
Quanto appena detto dovrebbe essere d’aiuto nel risalire all’etimologia. Le proposte sono molte, ed alcune anche un po’ bizzarre: c’è ad esempio chi propone un lambiccato “fenor culi” (in latino: “vendita del culo”), e chi lo ricollega all’ortaggio omonimo per varie ragioni. Alcuni perché esso “ha il gambo vuoto” (e qui saremmo nel campo di BUCO o CUPIO), altri perché i finocchi detti “maschi” sono più gustosi di quelli detti “femmine”. Altri infine (Consoli: 5), perché “il finocchio è pianta agametica, cioè che si riproduce senza essere impollinata, e quindi non ha bisogno dell’“altro” sesso”. Ma la proposta di etimologia che ha veramente fatto furore negli ultimi anni è quella che ricollega i finocchi ai roghi medievali. Secondo tale spiegazione, per coprire l’odore di carne bruciata sarebbe stato anticamente costume usare legno di ferula (quello spugnoso prodotto dalle piante di finocchio selvatico), oppure fasci di finocchi buttati nel fuoco. A sostegno di tale tesi si cita il parallelo con l’inglese “faggot”, che significa tanto “fascina di legna” che “omosessuale”.
Come accade spesso nelle questioni intricate, la spiegazione è in realtà piuttosto semplice. Innanzitutto non si è finora riusciti a trovare attestazioni dell’uso di gettare finocchi sui roghi. La consultazione di documenti antichi non ha permesso di trovarne traccia. Caso mai si saranno usati ginepri, come spinge a pensare il Burchiello: “Lascia i capretti e piglia delle lepri se non vuoi fare un dì fumo e baldoria d’odorifera stipa di ginepri”. (LANZA, p. 455). Anche Matteo Franco gli fa eco: Al tuo falò s’adoperrà ginepri, perché tu della puccia segui e’ sulci; lascia i caprecti e piglia delle lepri. (FRANCO, p. 17) (Franco ed il Burchiello scrivono tuttavia in “codice”, con un gergo colmo di maliziosi doppi sensi: ad esempio in questi versi i capretti da lasciare sono i ragazzi, mentre le lepri che è opportuno cercare sono le donne). In secondo luogo resterebbe da spiegare perché, se l’ipotesi che lega FINOCCHIO ai roghi è corretta, le altre categorie di persone in passato condannate alla stessa pena non abbiano ricevuto lo stesso nomignolo, sul modello di quanto accaduto con BUGGERONE (vedi). Infine va sottolineato che il parallelo con “faggot” non regge, perché, come ha dimostrato Johansson 1981, “faggot” nel senso di “omosessuale” nacque in America alla fine del secolo scorso, derivando da un fagot, antico francese e poi inglese, che significava “carico pesante” (e da qui “fascina”) e poi “donna pesante da sopportare”, “donna noiosa”, in parallelo con il già citato PEPPIA nostrano.
L’etimologia più corretta sarà quindi senza dubbio quella che mette in relazione il significato odierno di FINOCCHIO con quello che la parola aveva nel medioevo, e cioè “persona dappoco, infida”, “uomo spregevole”. In questo senso lo troviamo ad esempio già in un apocrifo dantesco: “E quei, ch’io non credeva esser finocchi, [traditori] ma veri amici, e prossimi, già sono venuti contra me con lancie, e stocchi. E quegli, ch’era appresso a me più buono, vedendo la rovina darmi addosso, fu al fuggir più, che gli altri, prono (SETTE SALMI, p. 49)”.
A sua volta tale uso traslato della parola deriva probabilmente dall’uso di semi di finocchio per aromatizzare la carne ed “infinocchiare” la salsiccia. Essi ovviamente non avevano alcun valore, sia al paragone con le costosissime spezie che venivano dall’Oriente, sia per il loro costo molto moderato. Si confronti il modo di dire toscano “essere come il finocchio nella salsiccia”, ossia: “non valere nulla”. Quindi: da “cosa o persona di nessun valore”, la parola finocchio è passata a indicare “uomo spregevole” e poi, in senso più restrittivo, “uomo spregevole in quanto si dà alla sodomia”. (Per un’evoluzione analoga vedi FROCIO). Data l’enorme diffusione di questo termine oggi, si ritiene superfluo dare esempi del suo uso.