Invertito (inversione)-contrario/a-perversa
“Invertito”, “contrario/a”, “perverso/a” sono tutti dispregiativi per definire le persone LGBTQ+. Questo è un termine per cosi dire “artificiale”, quello che i linguisti chiamano un “calco”, nato nel 1878 per iniziativa di Arrigo Tamassìa, che cercava un corrispondente adeguato del tedesco Conträrsexuale (tradotto poco elegantemente da qualcuno come sessual-contrario o contrarsessuale). Gli scienziati della fine dello scorso secolo – e Tamassia con loro – ritenevano infatti che l’omosessualità fosse una condizione in cui nell’organismo di un determinato sesso si osserva un atteggiamento tipico dell’altro sesso, ovvero, per l’appunto, invertito.
Oggi le persone che Tamassia descrive nel saggio in cui conia la parola INVERTITO sarebbero classificate come “transessuali”, ma all’epoca si riteneva che costoro fossero i più rappresentativi esempi (o esemplari…) della “categoria” dei “diversi”.
Questo neologismo ebbe un tale successo che non solo sopravvive ancor oggi, seppure come termine ingiurioso o comunque sprezzante, ma è stato ripreso da altre lingue (per esempio nell’inglese invert, francese inverti, ecc.).
Anche il termine “inversione” ebbe notevole successo in campo giornalistico. Nel 1948 ad esempio un articolo di Le Vie Nuove, un settimanale comunista italiano, così descriveva e commentava la vita omosessuale caprese: “ A Capri gli invertiti vanno alla messa alle 13 in punto”. Il pezzo descriveva, acidamente, uomini borghesi che “si chiamano Giangi, Fofo e Fizi, hanno lunghi riccioli sul collo, metalli preziosi che incatenano loro polsi e caviglie, collane […] né maschi né femmine […] siamo convinti che la spinta di un dito li farebbe rotolare a terra”. Ogni riferimento non è puramente casuale e nel nostro Paese abbiamo udito echi del termine invertito con accezione chiaramente sprezzante fino agli anni Settanta. Un altro esempio in Curzio Malaparte: “ L’internazionale degli invertiti, tragicamente spezzata dalla guerra, si ricomponeva in quel primo lembo d’Europa liberato dai bei soldati alleati”, (La Pelle, 1949).