Gay
“Gay” è un termine importato dalla lingua inglese ed è sinonimo di omosessuale.
La radice di questa parola è quella dell’antico francese (più esattamente, provenzale) “gai”, ovvero “allegro”, “gaio”, “che dà gioia” (come “lo gai saber”, “la gaia scienza”, che per i trovatori è la “Scienza d’Amore”).
In questa lingua la parola “gay” acquisì nel Settecento il senso di “dissoluto”, “anticonformista” (come in “allegro compare”). Il significato peggiorò ancora nell’Ottocento, fino a voler dire “lussurioso”, “depravato”. Ecco perché, nell’Inghilterra dell’Ottocento, una gay woman era “una donnina allegra” cioè una prostituta, mentre una gay house (letteralmente “casa allegra”) era un bordello.
La connotazione omosessuale della parola, in questa fase, non era ancora presente. La connotazione dell’omosessualità si ha solo nell’inglese parlato negli USA, prima del 1920, anno dal quale iniziano a moltiplicarsi le attestazioni dell’uso del termine gay col significato di omosessuale (riferito ai soli uomini, e non senza un beffardo parallelo con la gay woman), nel gergo della sottocultura statunitense, in cui oggi viene usato anche il sinonimo “faggot”, considerato però con un’accezione molto volgare. Un esempio dell’uso popolare di tale termine si ha nella versione originale del film del 1969, “Un uomo da marciapiede” (Midnight Cowboy) in cui l’attore Dustin Hoffman critica l’atteggiamento del coprotagonista, Jon Voight, con la frase “That’s faggot stuff!” (Questa è roba da gay!).
Negli anni trenta il termine “gay” era già compreso dalla massa dei parlanti americani col senso di “omosessuale”: lo rivela un film del 1938, Susanna, nel quale l’attore Cary Grant è sorpreso, per un malinteso comico, in vesti femminili. A chi gli chiede il perché, risponde stizzito: “Because I just went gay all of a sudden!”, “Perché sono appena diventato gay tutto d’un tratto!”.
Il “grande salto” nell’uso di questo termine avvenne comunque solo nel 1969, con la nascita negli USA del nuovo movimento di liberazione omosessuale. I nuovi militanti rifiutarono i termini usati fin lì, come “omosessuale” e soprattutto “omofilo”. Non volendo più essere definiti con le parole usate dagli eterosessuali, spesso ingiuriose, la comunità omosessuale scelse di auto-definirsi (come già avevano fatto i neri, che avevano rifiutato “nigger” preferendogli “black”) usando un termine del loro stesso gergo, cioè appunto “gay”. Era nato il Gay Liberation Front (GLF). Sull’esempio americano, il termine “gay” si diffuse nel mondo ovunque esistesse un movimento di liberazione omosessuale.
La diffusione in Italia di questa parola avvenì attraverso il movimento di liberazione gay, dal quale passò al linguaggio generale (data dal 1969-1971), non senza qualche protesta iniziale in Piemonte, dove sono diffusi i cognomi, di origine provenzale, “Gay” e “Gai”.
Dal significato originario di “omosessuale orgoglioso e militante” (contrapposto all’”omosessuale” vecchio stile) oggi gay è passato a indicare semplicemente la persona omosessuale in quanto tale, indipendentemente dalle sue idee politiche.
Si noti che negli anni Settanta in Italia il movimento lesbico-separatista italiano scelse la parola lesbica come preferibile al generico (e “maschile”) “gay”. Una chiara conseguenza di tale proposta si ha nell’esistenza, in Italia, di un ARCI gay (oggi Arcigay) e di un’ARCI lesbica (oggi Arcilesbica) separati anche dal punto di vista della terminologia.
La scarsa conoscenza delle origini del movimento gay da parte della generazione più giovane di omosessuali, ha favorito la diffusione negli Usa di una leggenda urbana secondo cui gay nascerebbe come acronimo (cioè sigla) delle parole “Good As You” (“buono/valido quanto te”), che sarebbero state utilizzate, per la prima volta, attorno agli anni venti del secolo scorso, in California, in una manifestazione di omosessuali. Questa spiegazione è del tutto fantasiosa e, come si è visto, non ha nulla a che vedere con le reali origini della parola e del suo uso. Nonostante tutto, in Italia, questa sigla è stata utilizzata come titolo d’uno spettacolo teatrale, oltre che di una trasmissione televisiva settimanale romana indirizzata soprattutto ad un pubblico gay.
L’uso di “gay” come sinonimo di omosessuale ha sottoposto questa parola alla stessa usura che in Italia ha trasformato alcuni eufemismi, come “finocchio” o “invertito”, in insulti. Ed oggi “gay” viene usato, nei Paesi esteri, anche come insulto. Negli USA, tale scivolamento di significato, è stato particolarmente accentuato al punto che “gay” è diventato sinonimo colloquiale di “lame”, “boring”, “bad”, cioè di “mediocre”, “noioso”, “brutto”, “schifoso/cattivo”. “Il film che ho visto ieri sera is so gay”, cioè “fa schifo, è noioso”. Quest’uso gergale è talmente comune che spesso è applicato senza nemmeno pensare a cosa si riferisca la parola, con esiti anche comici: “My computer is acting gay”, “Il mio computer funziona male” (ma letteralmente: “Si comporta da gay”). Alcuni esempi di tale scivolamento di significato possono essere considerati gli “Anal cunt”, un complesso grindcore non gay, i quali in numerosi titoli delle loro canzoni insultano come “gay” tutti coloro o tutto ciò che non amano (da Bill Gates, alla ceramica, fino ai loro fans), oppure Frank Zappa, di cui nel 1997 fu pubblicata una canzone satirica intitolata appunto “He’s so gay”. Tolte queste eccezioni, in Italia il termine “gay” continua ad essere sinonimo di omosessuale, senza assumere particolari connotazioni negative.
Secondo un’altra interpretazione etimologica in parte diversa, il termine inglese comincia a diffondersi nel mondo anglosassone all’inizio del ‘900 mentre in Italia il primo ad utilizzarlo è Alberto Arbasino in ‘Super-Eliogabalo’ (1969).